Grazia Deledda
Prospettive del religioso per una rilettura critica
Come possono i personaggi imporsi di vivere dentro una scelta di una mortificazione perenne? Come può un uomo costringersi in un distacco dal mondo delle passioni e dei desideri, rifiutati in blocco come realtà assolutamente negative? Nel panorama di un mondo inteso come il campo da gioco di un destino ineluttabile e amaramente tragico, i romanzi di Deledda pongono subito un problema profondamente morale. Il peso della colpa infrange nell’io qualsiasi tentativo di vita esteriore e sociale, portandolo a una vertiginosa parabola finale aperta tra due possibilità: la tragica e presentita esperienza del nulla e la flebile luce drammatica del perdono. Assistiamo a una dimensione eminentemente deleddiana di sentire la vita e le sue urgenze, derivata di filato da un certo sentimento religioso, inteso lato sensu come rapporto col mistero e col destino. La scrittrice ci ricorda che il male esiste, così come esiste il peccato. La sua forza anti-ideologica novecentesca ci ribolle tra le mani, nella libertà tragica che lei dipinge. Una Deledda estrema che ci trascina in un misto di fascino e repulsione sino alle domande ultime dell’uomo.